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La personale di Maristella Bono offre l'occasione per una riflessione sul falso in arte
COPIE D'AUTORE O OPERE D'ARTE?
De chirico copiava in continuazione le sue opere. Aurelio Carminati e i "falsi ideologici"
Da "Villa Cambiaso" N.14, febbraio 2002

I miti, si sa, sono duri a morire. Alcuni, poi, veicolati dalla scuola d'impianto risorgimentale, si sono talmente radicati nella cultura diffusa da sembrare inattaccabili. Tra questi, l'idea che l'artista agisca spinto da una misteriosa forza ispiratrice, ad esempio, oppure quella che attribuisce all'opera d'arte originale ed autentica, e solo a quella, la dignità d'essere considerata tale.
Che in passato, nell'Europa d'ancien régime, questo non fosse vero, è acclarato. L'opera d'arte (come oggetto concreto) era talmente prevalente rispetto all'artista da offuscare la realtà storica di quest'ultimo. Dunque, tra originale e copia (di mano dell'autore, di un ghost di bottega o di altro pittore) non veniva percepita alcuna differenza. Pari era la dignità essendo pari la funzione: trasmettere un'idea, veicolare un'emozione, stupire. Nel corso dell'Ottocento (per sintetizzare, s'intende) si va affermando l'idea che artista ed opera d'arte siano inscindibili. L'uno vive nell'altra e viceversa. Un processo, questo, che giungerà ad una forma di feticismo che porterà l'artista (la sua biografia, i suoi drammi, i suoi tic) a cannibalizzare l'opera stessa. Il nanismo di Toulouse-Lautrec, l'orecchio di Van Gogh, la psiche di Munch, finiranno per prevalere su ricerca estetica, poesia, efficacia comunicativa dell'opera. Di qui, anche, la fortuna di un Ligabue, da un lato, e dell'art-brut dall'altro.
Nel corso del Novecento, qualcosa č cambiato. Giorgio De Chirico, tra il 1945 e il 1962, esegue diciotto versioni delle Muse inquietanti del 1917. Di che cosa si tratta? Di diciannove originali (la tela del '17 e le successive), oppure di un originale e di diciotto copie? De Chirico, del resto, amava giocare con i suoi dipinti, autenticando repliche d'altra mano e sconfessando opere da lui eseguite.
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Claude Monet - Ninfee


Ora, come si inserisce il lavoro di Maristella Bono, notevolissima copista, in quest'alveo culturale sommariamente delineato? Il lavoro della brava pittrice ponentina è pura bottega, semplice attività artigianale ad uso di colti appassionati di grande arte, oppure può aspirare alla dignità di vera e propria attività artistica?
L'attuale rinuncia ad una propria cifra stilistica è - nella Bono - conseguenza di una scelta, dunque è atto consapevole. Se la consapevolezza (e non la tecnica, né l'appartenenza ad una scuola) è la condizione preliminare per definire artistico il lavoro di un pittore, allora Maristella Bono può dirsi, a buon titolo, artista. Consapevole del proprio talento e della funzione del proprio lavoro.

Ferdinando Molteni
Maristella Bono - Più vero del vero, falsi d'autore
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